In questi giorni si sta disputando la diciannovesima edizione del Concorso pianistico internazionale Fryderyk Chopin, uno tra i più antichi e prestigiosi a livello internazionale, interamente dedicato alla musica dell’illustre compositore polacco.
Senza stare a discutere di quanto sensata possa essere una competizione tra musicisti («I concorsi sono per i cavalli, non per gli artisti» disse non a caso Béla Bartók) questo concorso che si tiene ogni cinque anni è sicuramente un’occasione, per gli amanti di Chopin e del pianoforte, per gustarsi ore e ore di pianismo d’eccellenza e raffinata musicalità.
La corrente edizione si svolge dal 2 al 23 ottobre 2025 presso la Filarmonica di Varsavia.
L’intera competizione è trasmessa in diretta sul canale YouTube dell’Istituto Chopin e può essere vista anche in differita.
La finale, fissata per il 18, 19 e 20 ottobre, vedrà i candidati alle prese con gli impegnativi concerti per pianoforte e orchestra, come previsto dal regolamento che richiede l’esecuzione dell’op. 11 in Mi minore oppure dell’op. 21 in Fa minore. Ogni candidato potrà scegliere uno dei due lavori ed eseguirlo accompagnato dall’Orchestra Filarmonica di Varsavia.
Nella produzione chopiniana questi concerti però non occupano certo una posizione predominante, anzi.
Appartengono a quel genere di lavori che i grandi interpreti-compositori scrivevano soprattutto per servirsene nelle pubbliche esecuzioni come sfoggio di classe e virtuosismo: una tradizione che viene da lontano ma che allo stesso tempo venne definitivamente consolidata con i grandi lavori di Paganini.
Il fatto che siano richiesti per la finale di un concorso così importante non si spiega tanto con una particolare difficoltà di esecuzione o con una supposta superiorità estetica, quanto con la necessità di valutare il candidato non da solo al pianoforte, bensì nella sua capacità di dialogo ed interplay con l’orchestra, di ascolto reciproco e di controllo di tempo, timbro e comprensione della forma concerto.
Un pezzo di storia di Chopin
Ma andiamo con calma e vediamo prima un po’ di storia.
Chopin, che nei primi diciannove anni della sua vita aveva vissuto a Varsavia, nell’estate del 1829 decise di intraprendere un viaggio nella capitale mondiale della musica, Vienna.
Lì ebbe l’occasione di suonare accompagnato da un’orchestra e scelse di presentare le sue Variazioni su un tema dal “Don Giovanni” op. 2, composte circa due anni prima; il brano avrebbe poi consentito a Schumann, in veste di critico, di rivelare al mondo il genio di Chopin.
L’esecuzione fu accolta con molto entusiasmo dal pubblico e dalla stampa, al punto tale che gli venne offerta la possibilità di esibirsi nuovamente.
Una volta tornato a Varsavia Chopin scrisse in fretta e furia i due concerti: il Fa minore op. 21 (primo in ordine di composizione) ed il Mi minore op. 11.
Questi lavori erano, secondo il giovane compositore, indispensabili per mostrare al pubblico viennese le sue doti pianistiche ed assumere anche il ruolo di sfidante dei grandi concertisti dell’epoca come Thalberg o Döhler (allievo del famosissimo didatta Carl Czerny).
Una volta tornato a Vienna le cose però non andarono così bene.
«Non so cosa mi manca ed ho già più di vent’anni» si legge nel suo diario.
Ciò di cui il giovane virtuoso era all’oscuro è che nell’estate del 1829 a Vienna non aveva avuto rivali: durante quel periodo infatti l’aristocrazia era in vacanza in altre località e con loro c’erano anche i grandi pianisti.
Rientrato in città a novembre 1830 riuscire ad esibirsi nelle dimore dei magnati dell’epoca fu difficilissimo proprio a causa della terribile concorrenza: quello che riuscì ad ottenere fu una sola esecuzione (peraltro non retribuita) del concerto op. 11 e qualche attestazione di stima e simpatia da quei pochi che si ricordavano di lui.
Un po’ di teoria
Prima di passare all’analisi formale dei concerti mi è necessario fare una piccola precisazione per i non addetti ai lavori sul concetto di forma in musica.
La forma è, per dirlo in maniera più semplice possibile, il modo in cui la musica si sviluppa nel tempo. È un insieme di regole e di scelte, attraverso cui un brano prende vita; non riguarda solo la disposizione delle sezioni, ma anche il modo in cui esse ritornano (se ritornano), si trasformano e dialogano tra loro.
Comprendere il funzionamento delle diverse forme rende la musica più intellegibile, perché consente di suddividerla in sezioni, di orientarsi come in una mappa e di riconoscere meglio i contrasti e le simmetrie che il compositore ha costruito.
Concerto op.21
A livello architettonico le strutture dei due concerti sono assolutamente simili e classiche: entrambi seguono la forma sonata, ma hanno due piccole particolarità che vedremo nel dettaglio.
I. Per quanto riguarda il primo movimento del concerto op. 21 abbiamo una forma sonata abbastanza tradizionale dove mi sento di segnalare giusto una fin troppo breve riesposizione del Tema I nella ripresa, dove viene a malapena citato ed è subito seguito dal secondo che, attraverso gli stessi disegni ornamentali dell’esposizione, conduce alla fine del movimento.
Andando nel dettaglio possiamo notare, oltre all’introduzione cadenzante del pianoforte, le caratteristiche dei due temi: essi sono operistici, quasi degli ariosi e contrastano molto con i temi secondari delle transizioni e dei ponti modulanti che invece sono a carattere fortemente virtuosistico.
II. Il secondo movimento è in forma bipartita di Lied (A B A), con la A formata da un’ampia ed elegante melodia in contrasto con una B (a carattere di recitativo) che si oppone con una certa drammaticità alla dolcezza della prima.
III. Il terzo movimento invece è un Rondò costituito da due temi principali (riconducibili a melodie folkloristiche polacche di cui il compositore è sempre stato grande appassionato) con numerosi episodi virtuosistici che si intercalano ai temi, talvolta come variazioni degli stessi. In questi episodi è piacevole notare l’assenza degli stereotipi del virtuosismo dell’epoca: Chopin infatti cerca soluzioni diverse dalle scale in doppie terze o dagli arpeggi che si incontrano facilmente nei concerti dei suoi immediati predecessori.
Charles Richard-Hamelin, secondo classificato alla diciassettesima edizione, esegue il concerto op. 21.
Concerto op.11
I. Anche l’architettura del concerto op. 11 è simile ma ha una particolarità (tale che la mia insegnante di composizione, in un eccesso tipico del suo granitico carattere, lo definiva “musica sbagliata”): il secondo tema è scritto nella parallela maggiore della tonalità di impianto del pezzo e nella ripresa viene invece presentato nella relativa maggiore. Chopin di fatto modifica pesantemente la tradizionale struttura della forma sonata minore, come avveniva già in certe sinfonie italiane dell’epoca come la Sinfonia della Norma di Bellini.
II. Il secondo movimento è una Romanza “calma e malinconica”, la forma quasi libera ricorda un’improvvisazione. I due temi si susseguono, si incontrano e si modificano a volte a vicenda, in un’atmosfera molto soffice e cantabile rotta solo dal terzo tema, agitato, in Do diesis minore. Nelle lettere il compositore parla del nuovo Adagio e del suo “ideale”, un riferimento che la tradizione collega a Konstancja Gładkowska.
III. Anche in questo concerto il Rondò finale ha temi riconducibili al folklore polacco, con un virtuosismo elegante e raffinato che però mal si adattava al gusto del pubblico dell’epoca, che invece avrebbe preferito ben altro genere di fuochi d’artificio.
Bruce (Xiaoyu) Liu, primo classificato alla diciotessima edizione, esegue il concerto op. 11.
Odiare la rigidità
E infine, per quanto riguarda le note dolenti… È inutile che ci prendiamo in giro, Chopin non era un compositore amante delle grandi (e talvolta anche po’ troppo rigide) forme.
Lo dimostrano anche le sue Sonate, assolutamente magnifiche per la quantità e qualità delle idee, ma che mancano di quello spirito formale tipico che invece troviamo nitidamente in altri autori, che hanno saputo esprimere le loro idee all’interno di quegli apparenti rigidi confini portando quella forma alla sua più alta espressione.
Dopotutto che i due concerti non siano a livello dei brani in forma breve, come le ballate o le polacche, non c’è assolutamente alcun dubbio. Non è un caso che negli adagi, dove la rigidità formale è meno pressante rispetto agli altri movimenti, la fantasia di Chopin scorra più libera e meno costretta da vincoli classici della forma.
C’è un’altra questione però, che riguarda l’orecchio compositivo di Chopin: il suo era genuinamente pianistico, capace di creare combinazioni sonore sulla tastiera al limite dell’irreale ma che dinnanzi alla scrittura per altri strumenti si dimostrava non sempre capace di generare idee dalla stessa grandiosità e freschezza.
Ed anche i momenti di cadenza e a solo del pianoforte, dove la genialità del compositore si mostra in tutta la sua magnificenza ed eleganza, non fanno altro che accentuare la differenza nella qualità di scrittura tra la parte solista e quella orchestrale.
Ma questo basta a spiegare lo scarso successo che ebbero all’epoca? Forse no, perché insieme alla questione meramente politico/imprenditoriale (Chopin a Vienna mancava dell’appoggio di personaggi come i principi Metternich o Schwarzenberg e grandi didatti pianisti come Czerny o Hummel) c’è anche una questione stilistica a cui ho già accennato in precedenza: il virtuosismo raffinato e poetico di Chopin è ben lontano da quello eccessivo ed inebriante di altri suoi contemporanei come Thalberg, nettamente preferito dal pubblico dell’epoca.
Non è un caso infatti che dal 1830 in poi Chopin eseguì davvero raramente i suoi concerti e per quanto possa sembrare assurdo, quasi sempre malvolentieri.

