Omakase, mi affido a te

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L’ho scoperta per caso, ascoltando la radio mentre tornavo dall’ufficio.

Una parola giapponese che suona gentile: omakase. Significa “mi affido a te”, e si pronuncia al banco di un ristorante tradizionale, quando si decide di lasciare che sia chi cucina a scegliere i piatti per te. Niente menu, nessun piatto a la carte, niente preferenze dichiarate: solo fiducia.

In giappone però omakase non è solo un modo di ordinare cibo. È una filosofia relazionale che attraversa la cultura del Giappone: si fonda sull’ascolto, sulla competenza silenziosa, sulla cura invisibile di chi si prende carico dell’esperienza dell’altro.

E da qualche tempo, questa parola – e più in generale la cultura giapponese – ha iniziato a esercitare un fascino sempre più forte anche sugli italiani. Non solo tra gli appassionati di anime, design o arti marziali, ma in settori come il viaggio, la gastronomia, l’artigianato e il lifestyle.

Il Giappone ci piace (sempre di più)

Nel 2024, secondo i dati dell’Ente Nazionale del Turismo Giapponese, sono stati 229.700 gli italiani che hanno visitato il Giappone – un numero record, con un incremento del +41,1% rispetto al 2019. Nessun altro Paese europeo ha registrato una crescita simile.

I motivi?

  • Il Giappone è percepito come sicuro, pulito, ordinato.
  • C’è un’attrazione per il suo equilibrio tra tradizione millenaria e innovazione tecnologica.
  • Il cibo giapponese – sobrio, essenziale, visivamente curato – incontra il gusto di chi cerca esperienze minimal e eleganti.
  • E, da non sottovalutare, il cambio favorevole con lo yen, che ha reso più accessibile una destinazione un tempo considerata di lusso.

Ma al di là dei motivi razionali, sembra esserci qualcosa di più profondo. Una ricerca di senso, di silenzio, di bellezza che non urla ma si lascia scoprire. Forse è anche per questo che concetti come omakase iniziano a trovare casa nella sensibilità italiana.

Il Giappone (un po’) ci somiglia

Il cuore dell’omakase è la fiducia attiva. Il cliente rinuncia al controllo per ricevere qualcosa di unico, pensato per lui, costruito nel momento. Non è una formula rigida, ma un patto: “Tu sai fare, io mi fido.”

Anche nel made in Italy questo patto esiste. L’artigiano italiano – che sia un sarto, un cuoco, un ceramista o un calzolaio – non ripete, interpreta. Osserva il cliente, ne coglie i desideri inespressi, mette a disposizione la propria esperienza per creare un pezzo unico.

In entrambi i casi:

  • la centralità del sapere artigiano è fondamentale;
  • il tempo è alleato, non nemico;
  • la cura per i dettagli è una forma di rispetto;
  • il prodotto finale non è mai solo un “oggetto”, ma un gesto che parla.

Ma ci sono anche delle differenze, e sono quelle che mi interessano di più.

Il ruolo del cliente

  • Omakase: il cliente scompare nell’esperienza, accetta il silenzio e l’attesa.
  • Made in Italy: il cliente partecipa, discute, suggerisce, si racconta.

Forma e imperfezione

  • In Giappone la bellezza è essenziale, misurata, controllata.
  • In Italia la bellezza è viva, espressiva, a volte imperfetta, ma piena di anima.

Formalità vs spontaneità

  • Il Giappone ritualizza l’esperienza. C’è compostezza, silenzio, armonia.
  • L’Italia la vive con calore, chiacchiere, risate, convivialità.

Il made in Italy continua a essere richiesto in tutto il mondo proprio per la sua capacità di personalizzare, ascoltare e creare su misura. Mi sembra che ci troviamo di fronte a due mondi che si riconoscono, e si attraggono. Due stili diversi, ma non in conflitto: piuttosto, complementari.

Mi sembrano due modi di dire la stessa cosa:

“Fidati di me, e vivrai qualcosa che non sapevi di volere.”

È un gesto raro, in un mondo che ci chiede di controllare tutto. È un invito a cedere il timone per un attimo, e riscoprire la bellezza dell’inaspettato.

In un’epoca in cui siamo sempre chiamati a scegliere, decidere, controllare, forse c’è qualcosa di liberatorio nell’idea di affidarsi. Di lasciarsi guidare da chi sa fare, con cura e con mestiere. Omakase, nel suo silenzio gentile, ci insegna che la fiducia può essere bellezza.
E forse, proprio da lì, potremmo riscoprire anche il valore più profondo del nostro made in Italy: un’esperienza che cura, ascolta, sorprende.

pic by Alessio Lupi Maillo (Pexels)

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Massimo Benedetti
Massimo Benedetti
Dicono che so mettere a proprio agio le persone. Ascolto e leggo molto, scrivo e sono innamorato. Humanist è il mio spazio preferito.