Quante volte verso fine settimana, in ufficio o al bar, sentiamo qualcuno che ci dice che è davvero stanco e stressato e “devo proprio andare in montagna a rigenerarmi”.
Altre invece leggiamo di prodotti green e di aziende che non hanno nulla altro in mente se non la sostenibilità ambientale.
Infine, spesso dobbiamo sentire architetti e designer che ci raccontano alla nausea l’importanza del verde urbano, dei materiali di recupero e di economia circolare.
Tutte queste possono sembrare mode o buzzword del momento. Pochi però sanno che c’è una disciplina filosofica e scientifica che studia e regola la relazione dell’uomo con la natura: la Biofilia.
Cos’è la Biofilia, secondo chi la conosce da dentro
Di tutto questo ne parliamo con Bettina Bolten.
Fra le primissime Biophilic Experts in Italia, da diversi anni si occupa di questo tema, sia a livello accademico e formativo che consulenziale.
Per le combinazioni della vita ci incontriamo a Milano alla Biblioteca degli Alberi, che è il parco contornato dai nuovi grattacieli di Porta Nuova. Qui un po’ di natura cerca di resistere alla dubaizzazione architettonica della città.
Un’intervista humanistica, per certi versi… ma d’altronde, questo è Humanist.
Ciao Bettina, e benvenuta su Humanist. Come è nato il tuo interesse per la Biofilia?
Sono nata e cresciuta in una piccola cittadina della Renania, in Germania, a soli dieci minuti dal confine con l’Olanda. È una zona caratterizzata da estesi boschi, piccoli laghi e fiumi, ben collegata ad alcune importanti città, come Düsseldorf e Colonia.
Ho trascorso gran parte della mia infanzia immersa nel grande giardino di casa mia e nei boschi circostanti.
Da piccolissima, mia madre era solita lasciare il mio passeggino sotto gli alberi per ore. Potevo osservare le loro chiome muoversi dolcemente con il vento. Ero costantemente circondata dalla quiete e dall’immensa bellezza della Natura.
Poi hai scoperto l’Italia…
A 16 anni è cresciuta in me la voglia di esplorare il mondo. Sono andata a vivere per un anno in un piccolo villaggio di alta montagna nelle Alpi italiane.
In questo luogo molto isolato ho conosciuto il volto più estremo della Natura. Durante l’inverno di quell’anno, una nevicata eccezionale ci isolò dal resto del mondo per oltre una settimana. Diversi metri di neve bloccarono ogni via di comunicazione con l’esterno.
Raggiunta la maggiore età, mi sono trasferita a Milano, dove il contatto con la Natura era raro e distante. Ho sempre cercato di bilanciare lo stile di vita urbano con periodi, anche lunghi, trascorsi in ambienti naturali.
Il trekking in alta montagna e la pratica di altri sport all’aperto sono diventati per me strategie fondamentali per mantenere l’equilibrio interiore.
Ma come sei riuscita a trasformare questa passione in una competenza accademica?
Questa esigenza di connettermi spesso con la Natura ha assunto un significato più profondo nel 2013, quando ho conosciuto un biologo e docente universitario, nonché uno dei massimi esperti di BIOFILIA in Italia.
Fu lui a parlarmi per primo di questo concetto, che mi premise di comprendere meglio, e in maniera strutturata, la mia inclinazione verso tutto ciò che è naturale e vivo.
Questa nuova consapevolezza mi aprì anche la strada verso una nuova professione. Iniziai a leggere testi come “Biophilia” (1984) del celebre biologo Edward O. Wilson e “The Biophilia Hypothesis” (1993), edito e scritto da Wilson insieme all’ecologo Stephen R. Kellert.
In quel momento si è chiuso un cerchio che è iniziato dai boschi della mia infanzia, per riallacciare il legame profondo con questo mondo vivente che ci accoglie e ci sostiene.
Da dove nasce quindi il concetto di Biofilia?
Prima di esplorare le origini del concetto di Biofilia, è doveroso soffermarsi un momento a chiarire il significato stesso di questa parola. Biofilia è la combinazione di due parole del greco antico: bios (βίος) che significa “vita» o “vivente»; philia (φιλία): che significa “amore” o “affinità”.
Letteralmente significa “amore per la vita”, in senso più esteso può essere interpretato anche come passione o amore per la Natura.
Il termine Biofilia fu coniato da Erich Fromm, psicoanalista, sociologo e filosofo tedesco, nel suo libro “The Heart of Man: Its Genius for Good and Evil” (1964), nell’ambito della sua riflessione sulla natura umana e sulle condizioni psicologiche della società moderna.
Secondo Fromm, la Biofilia è l’amore per la vita e per tutto quello che è vivo, un orientamento esistenziale che porta l’individuo a cercare connessione, crescita e armonia con il mondo vivente.
È interessante scoprire che, nella sua riflessione psicologica, Fromm contrappone la biofilia alla necrofilia, intesa come attrazione per tutto ciò che è morto, in decomposizione, meccanico o distruttivo – una tendenza che, secondo lui, nasce in risposta a condizioni sociali alienanti e disumanizzanti.
Negli anni ’80, il grande biologo americano Edward O. Wilson, ideatore dei concetti fondamentali di biodiversità e sociobiologia, ampliò – in maniera indipendente da Fromm – il concetto di biofilia nel suo libro omonimo Biophilia (1984), proponendo che l’essere umano abbia una tendenza biologica innata a cercare connessione con la Natura e con le altre forme di vita.
Per Wilson, questa inclinazione è frutto dell’evoluzione: nei millenni, la sopravvivenza della nostra specie è dipesa da una profonda familiarità con gli ambienti naturali. Ancora oggi è così, solo che ce ne siamo dimenticati.
Alla Biofilia Wilson contrappone la Biofobia, ossia la paura di tutto quello che può essere pericoloso in Natura, come serpenti, ragni, eruzioni di vulcani, alluvioni, uragani, ecc. Per lui Biofilia e Biofobia sono i due lati della stessa medaglia.
Mentre Fromm la interpretava in chiave psicologica, Wilson le diede una base scientifica ed evoluzionistica, formulando così l’Ipotesi della Biofilia. Per Fromm, coltivare la Biofilia è una condizione fondamentale per una vita sana e pienamente umana; implica empatia, rispetto per la Natura e per gli altri esseri viventi, creatività e un senso profondo di appartenenza al mondo.
Wilson definisce la Biofilia nei suoi termini biologici che si riferiscono all’umanità come specie. Fromm è più attento alle condizioni ambientali e sociali che influenzano il singolo individuo che sviluppa la biofilia.
Le discipline della psicologia e biologia hanno per molto tempo esplorato quest’ultima separatamente, per poi confluire in una visione integrata che riconosce l’importanza del legame tra Uomo e Natura.
Quanto la Biofilia è innata nell’uomo o quanto è un costrutto culturale?
La Biofilia è un comportamento innato di tutti gli esseri umani e deve essere esplorata in una chiave evoluzionistica. È importante comprendere perché è innata e non istintiva.
Facciamo due esempi.
Il linguaggio umano è una capacità innata: tutti i bambini, indipendentemente dalla cultura, nascono con la predisposizione a imparare una lingua, ma devono poi apprenderla attraverso l’esperienza e l’insegnamento. Il riflesso di ritirare la mano quando tocchiamo qualcosa di caldo è un comportamento istintivo: avviene automaticamente, senza bisogno di imparare, ed è molto preciso e immediato.
L’istinto guida il comportamento con precisione, ma un comportamento troppo preciso è stereotipato e pertanto incapace di trarre vantaggio dall’apprendimento e dall’esperienza.
Invece, la selezione naturale ha fissato nei nostri geni diverse regole di apprendimento che rendono facile e sicuro il nostro comportamento (Wilson, 1993).
La Biofilia fa parte di quelle regole di apprendimento che si sono conservate perché conferiscono un vantaggio in termini di sopravvivenza e riproduzione.
È interessante notare che, nel corso dell’evoluzione, la Biofilia si è codificata nel nostro patrimonio genetico grazie a un processo di coevoluzione tra cultura e genetica, che ha apportato un reale beneficio adattativo alla nostra specie.
In che modo la Biofilia ci aiuta quindi a vivere meglio?
La Biofilia ci aiuta a vivere meglio perché ci riconnette con una parte fondamentale di noi stessi: la nostra natura biologica ed emotiva, profondamente intrecciata con il mondo vivente.
Il contatto con la Natura – intesa non solo come vegetazione, ma come insieme degli ecosistemi naturali – ha effetti benefici sulla mente e sul corpo, come indicano numerose evidenze scientifiche.
Riduce lo stress e l’ansia, fa ripristinare più velocemente e in maniera efficace la nostra attenzione diretta dopo una fatica mentale, ci aiuta a ritrovare calma e chiarezza.
Anche soltanto osservare una rigogliosa vegetazione o ascoltare il suono delle onde del mare o della pioggia può avere un effetto positivo sul nostro equilibrio psicofisico.
Trascorrere del tempo in ambienti naturali migliora la concentrazione e stimola la creatività. Dopo una passeggiata in un bosco, la mente si sente più lucida e presente, come se avesse fatto una sorta di “reset”. Non è un caso che molte persone trovino soluzioni ai problemi o nuove ispirazioni proprio durante attività all’aperto.
Ma la Biofilia, insomma, agisce solo sulla mente?
Anche il corpo ne trae beneficio: il contatto con la Natura può abbassare la pressione sanguigna, rafforzare il sistema immunitario e contribuire al benessere generale, fino a ridurre il rischio di alcune malattie.
Questa tendenza a cercare la Natura ci aiuta anche a sviluppare una maggiore empatia, sia verso gli altri esseri umani sia verso tutte le forme di vita.
Nei bambini, per esempio, l’immersione nella Natura favorisce la curiosità, la capacità di osservare, l’empatia e il senso di responsabilità. Ma anche negli adulti riaccende quel senso di meraviglia e appartenenza che spesso perdiamo nella routine quotidiana.
La Biofilia ci offre qualcosa di ancora più profondo: un senso di connessione, di significato. Ci ricorda che non siamo separati dalla Natura, ma una parte integrante.
Infine, la biofilia può guidare anche le nostre buone abitudini quotidiane semplicemente scegliendo di trascorrere più tempo all’aperto, circondandoci di Natura anche in casa o in ufficio.
Di questo si occupa una disciplina dal nome Biophilic Design (in italiano progettazione biofila), ambito in cui lavoro professionalmente.
Piccoli gesti come ascoltare i suoni della Natura, osservare il cielo o coltivare un piccolo orto aiutano a ristabilire un legame autentico con il mondo vivente, portando calma e benessere nella vita di tutti i giorni. Integrando la Natura nelle nostre routine, nutriamo quel bisogno profondo di connessione che ci rende più sani e più in equilibrio.
Come si applica alle città e agli spazi in cui viviamo?
La progettazione biofila (più conosciuta con il nome inglese di Biophilic Design) parte da un’idea fondamentale: il benessere dell’essere umano è profondamente legato alla connessione con la Natura, anche – e soprattutto – nei contesti urbani.
Tradurre la nostra innata biofilia in un linguaggio progettuale significa riconoscere che le città non sono solo luoghi funzionali, ma ambienti che influenzano il nostro stato d’animo, la nostra salute, le nostre (inter)azioni e anche il nostro comportamento.
Non si tratta di aggiungere elementi naturali come semplice decorazione, una moda diffusa che tende a sovrapporre la vegetazione in tutte le forme alle architetture, ma di ripensare l’ambiente costruito in modo che possa nutrire il nostro bisogno innato di relazione con ciò che è vivo.
Quando questa connessione è presente, anche negli spazi artificiali, ci sentiamo più calmi, più concentrati, più presenti. Le città diventano luoghi dove è possibile respirare, ritrovare un ritmo più a misura d’uomo e, perché no, sentirsi parte di qualcosa di più grande.
La progettazione biofila è una risposta concreta al senso di disconnessione che spesso accompagna le persone con uno stile di vita urbano. È un modo per rendere le città più vivibili, più sane e più capaci di accogliere la nostra natura umana.
Come si applicano questi ragionamenti agli oggetti che usiamo e consumiamo?
Tradizionalmente, il Biophilic Design riguarda l’architettura, gli ambienti interni e l’urbanistica.
Applicarla anche agli oggetti che usiamo e consumiamo ogni giorno significa progettare e scegliere cose che ci riconnettano, anche simbolicamente o sensorialmente, con la Natura.
Non si tratta solo di applicare materiali naturali, ma di creare oggetti che trasmettano calore, semplicità, armonia.
Oggetti che parlano un linguaggio organico, che ci fanno sentire a casa, che non ci aggrediscono con forme fredde, luci artificiali o superfici uniformi, lucidissime e impersonali. Un oggetto biofilo può evocare un ricordo, un paesaggio, una stagione, un profumo. Può avere una forma irregolare, una trama che richiama la corteccia di un albero, una fragranza che riporta alla terra o al mare.
Anche i colori contano, soprattutto quelli ispirati al mondo naturale che favoriscono la calma e l’equilibrio. Scegliere o progettare in modo biofilo significa anche prestare attenzione al ciclo di vita degli oggetti: materiali rinnovabili, processi produttivi rispettosi, durata nel tempo. È una scelta che mette insieme estetica, etica e benessere.
Oggi tutte le aziende parlano di Sostenibilità, in che modo questo ha a che fare con la Biofilia?
Oggi molte aziende parlano di sostenibilità perché è sempre più importante prendersi cura del pianeta per garantire un futuro alla specie umana e a tutti gli altri esseri viventi.
Tuttavia, la sostenibilità non riguarda solo la riduzione dell’impatto ambientale, ma implica anche il riconoscimento del legame profondo che abbiamo con la Natura.
La Biofilia, intesa come il nostro bisogno innato di connessione con ciò che è vivo, ci insegna quanto sia inscindibile la connessione tra noi e il mondo naturale e che prendersi cura dell’ambiente significa anche prendersi cura del nostro benessere fisico, mentale ed emotivo.
Integrare la Biofilia nelle scelte aziendali, ad esempio l’adozione di processi produttivi rispettosi, permette di andare oltre la logica della compensazione, per costruire un rapporto più armonico, consapevole e duraturo con il mondo naturale.
Rimanendo nell’ambito delle costruzioni, il Biophilic Design pone al centro il benessere delle persone che vivono e lavorano negli spazi costruiti. In questo caso, possiamo parlare di ‘sostenibilità umana’. Solo unendo queste due dimensioni – il rispetto per l’ambiente e la connessione profonda dell’essere umano con la Natura (all’interno degli edifici) – con sinergie appropriate, è possibile creare ambienti davvero capace di migliorare la qualità della vita.
Dal tuo punto di vista in questa nuova disciplina che in Italia hai visto nascere, quanto c’è di moda, quanto di esoterismo, quanto di scienza?
Quando si parla di Biofilia, è molto importante distinguere tra moda, esoterismo e scienza. Il concetto viene usato in contesti molto diversi, a volte con approcci seri, ma spesso con superficialità o toni vagamente ‘mistici’
Alla base della Biofilia c’è una solida base scientifica, in particolare nei lavori di Edward O. Wilson, che ha proposto l’idea che l’essere umano abbia una tendenza biologica innata a cercare connessione con la Natura.
Oggi un consistente numero di studi dimostra i numerosi benefici psicologici e psichici. Quindi, è un campo serio, con fondamenti scientifici concreti.
La biofilia, proprio perché tocca corde profonde, viene talvolta associata a pratiche più simboliche o spirituali, come la “connessione con le energie della Terra”, il “linguaggio delle piante” o pratiche new age.
In questi casi si entra in un territorio più soggettivo o esoterico, che può essere arricchente per alcuni, ma non appartiene al campo scientifico e all’Ipotesi della Biofilia. Va distinto chiaramente dalla biofilia studiata in ambito accademico.
Negli ultimi anni, il termine ‘biofilia’ è diventato popolare nel marketing, nel design e nell’architettura.
A volte si parla addirittura di lifestyle biofilo. Piante d’appartamento, materiali naturali, packaging ‘eco’, wellness urbano: tutto è spesso presentato come biofilo. In molti casi è una tendenza positiva, perché porta attenzione alla qualità ambientale e al benessere. Non sempre è accompagnato da una reale comprensione del concetto però.
Spesso diventa solo una parola di moda, svuotata di significato, come sta succedendo al termine “sostenibilità”.
Per chiudere in maniera concreta, ci puoi fare qualche esempio di architettura biofila in Italia?
In Italia gli esempi di architettura biofila sono ancora pochi.
Contrariamente a quanto si possa pensare, esempi come i due Boschi Verticali di Milano non sono nati esplicitamente come progetti di Biophilic Design, anche se spesso vengono associati a questa disciplina. Essi presentano una qualità biofila piuttosto limitata. Non è sufficiente la presenza di piante per farne un progetto biofilo.
Tuttavia, il nostro paese è ricco di una tradizione architettonica antica e diffusa che possiamo considerare, a tutti gli effetti, come predecessore del Biophilic Design. Si tratta dell’architettura vernacolare.
I meravigliosi esempi di architettura vernacolare in Italia nascono dalla necessità di adattarsi al territorio, al clima e alle risorse disponibili localmente.
Le case, i borghi e gli edifici tradizionali sono costruiti con materiali naturali come pietra, legno, argilla e terracotta. Progettati per sfruttare al meglio la luce naturale, la ventilazione e la protezione dagli agenti atmosferici.
Questo tipo di architettura ha da sempre creato un forte legame tra l’uomo e il paesaggio, integrandosi armoniosamente con l’ambiente circostante, rispettandolo e valorizzandolo.
In questo senso, l’architettura vernacolare può essere considerata un esempio di biofilia.
Riflette il rispetto e l’attenzione verso la Natura, risponde ai bisogni umani di comfort e benessere attraverso soluzioni semplici ma efficaci, e favorisce un senso di appartenenza e identità legata al luogo.
Oggi, ispirarsi anche a questi modelli tradizionali è un modo prezioso per progettare edifici e spazi più sostenibili, sani e in armonia con il territorio, recuperando quel legame profondo con la Natura che è il cuore della biofilia.
Grazie mille Bettina e buona continuazione.
Grazie a voi.