GO!2025: Gorizia e Nova Gorica, il confine abitato

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Una linea tracciata a penna ha diviso le vite, a Gorizia: famiglie separate, abitudini spezzate, case che da un giorno all’altro si ritrovarono “di là”. Eppure, quella stessa linea è diventata un gioco per bambini tra due paesi. La chiamano Piazza Transalpina e anche Trg Evrope.
È il cuore di due città che si guardano negli occhi e si tendono la mano: Gorizia e Nova Gorica.
Senza bisogno di fondersi, hanno scelto di camminare insieme, con GO!2025 il progetto che le vede entrambi come Capitale Europea della Cultura.

La Capitale Europea della Cultura 2025: un titolo, due città

Gorizia, Italia. Nova Gorica, Slovenia.
Due città, due amministrazioni, due lingue, una sola visione: GO!2025, il progetto che le vede Capitale Europea della Cultura congiunta. Un caso unico. Non si tratta di una fusione, ma di una coesistenza consapevole: l’idea che due identità possono condividere un destino senza annullarsi.
Il titolo è un pretesto nobile e ho voluto indagarne la sostanza, trovandola molto più profonda: raccontare il confine che da trauma diventa possibilità.

Dalla ferita alla forma: storia di un confine

Nel 1947, con il Trattato di Parigi e la ridefinizione dei confini tra Italia e Jugoslavia, Gorizia fu letteralmente tagliata in due. Circa il 60 % del territorio comunale e oltre il 90 % di quello provinciale passarono sotto amministrazione jugoslava. Il centro storico, la stazione ferroviaria della Transalpina e parte dei quartieri furono inclusi nel nuovo territorio slavo.

Dall’altra parte, la République populaire de Slovénie (all’epoca parte della Jugoslavia) promosse la costruzione di Nova Gorica, progettata a partire dal 1948 da un gruppo di giovani architetti. 
Dove oggi sorgono moderni quartieri popolari e viali alberati, un tempo c’erano paludi e un cimitero abbandonato – la prima pietra fu posata il 13 giugno 1948, meno di un anno dopo la decisione politica .

Durante la Guerra Fredda, tra Gorizia e Nova Gorica venne eretto il cosiddetto “Muro di Gorizia”: una recinzione in cemento e ferro alta circa 1,5 metri, punteggiata da torrette di guardia, filo spinato, barriere che attraversavano strade e piazze, compresa la Piazza Transalpina/Trg Evrope, una delle prime “cortine di ferro” d’Europa.

Nova Gorica, pensata come simbolo dell’avanguardia socialista, si sviluppò come città-dono: viali rettilinei, palazzi pubblici monumentali, teatri, infrastrutture educative e culturali e nessuna chiesa prima degli anni ’90. Malgrado il sogno iniziale, il progetto patì l’isolamento successivo alla rottura Tito–Stalin (1948) e la crisi economica degli anni ’80, ma seppe poi rialzarsi, integrandosi sempre più nel contesto europeo fino al collasso dei controlli di frontiera con l’ingresso della Slovenia nell’UE (2004) e nello spazio Schengen (2007).

Oggi, ciò che resta di quel confine “concreto, metallico, ingombrante” sopravvive solo nei marcatori di frontiera, nella toponomastica (“Muro di Gorizia”), e in frammenti di memoria conservati in installazioni urbane, musei come quello della Transalpina/Prepustnica, e la piazza stessa, dove una linea di pietre racconta ancora il confine politico.

Il confine “abitato”

Le testimonianze raccontano di un confine vissuto. Prima della riconciliazione, le donne nascondevano zucchero e caffè sotto la gonna, attraversando i boschi: oggi sono sempre loro a guidare tour narrativi sui sentieri del contrabbando.
A Gorizia e Nova Gorica si dice che “sorridono, ma non dimenticano”.

Nel progetto Topografie della memoria, cittadini e cittadine di entrambi i lati condividono fotografie, ricordi, frammenti. Per loro si tratta di riconoscere che anche la separazione è parte della storia comune.

“Quello che un tempo era necessità, oggi è memoria viva. Ridiamo, ma non dimentichiamo.”

Ho viaggiato parecchio sui confini dell’Italia, da nord a est soprattutto, e trovo che chi vive in queste zone spesso si senta già un po’ parte del paese vicino. Mi sembra che si possa parlare di stratificazione identitaria.
In Valle d’Aosta si parla francese e ci si riconosce in una cultura alpina comune; in Alto Adige, l’identità sudtirolese convive da decenni con l’italianità; nelle zone transfrontaliere tra Friuli e Slovenia, il friulano e lo sloveno si mescolano nelle voci, nelle insegne, nei mercati.

In questi luoghi, il confine si trasforma da abrriera a tessuto: una linea porosa, attraversata da secoli di scambi, matrimoni, lavoro condiviso, scuola, memoria. Sono esempi di “identità liminali”: identità che non stanno dentro o fuori, ma sulle soglie, e proprio per questo sono più duttili, più tolleranti, più vive.

Gorizia e Nova Gorica non fanno eccezione, ma aggiungono qualcosa in più: hanno scelto di abitare il confine non solo per necessità, ma per visione. Senza negare il passato, lo mettono in scena, lo raccontano, lo fanno diventare capitale culturale. Come se il confine, finalmente, potesse smettere di dividere e iniziare a narrare.

Confini a confronto

Naturalmente ci sono altri luoghi raccontano di divisioni.
Berlino, ad esempio: il muro è crollato, Berlino è tornata a essere una sola. Il confine è stato rimosso.
A Nicosia, invece, la linea verde dell’ONU ancora taglia in due la capitale cipriota. A Mostar, il ponte ricostruito è simbolo potente, ma le comunità restano divise.

A Tijuana e San Diego, l’arte colora il muro, ma il passaggio resta proibito per molti.

Gorizia e Nova Gorica sono diverse. Non sono fuse. Non sono opposte.
Sono intenzionalmente unite. Collaborano, dialogano, mantengono differenze senza renderle muri.

Abitare il confine: un modo diverso di stare insieme

Trovo ci sia qualcosa di profondamente umano nell’idea di confine.
È limite ma anche spazio intermedio, soglia vissuta, zona fertile.

Il verbo abitare viene dal latino habitāre, forma intensiva di habēre, che significa “avere”, “mantenere”. Ma abitare, nell’evoluzione della lingua, diventa più simile a “stare dentro” che possedere e trovo il senso profondo del frequentare un luogo fino a custodirlo, curarlo, interpretarlo.

Heidegger, nel saggio Costruire abitare pensare, scrive: Abitare significa custodire. L’essenza dell’abitare è l’abitare poetico.

Abitare un confine può essere assumerne la complessità, attraversarne la memoria, abitarne quindi le differenze, per riconoscerle, perché un confine abitato si trasformi in un gesto quotidiano di co-esistenza.

In questo senso, le popolazioni di Gorizia e Nova Gorica convivono e decidono di abitarsi a vicenda, ognuna accettando la lingua, la storia, i ritmi dell’altra. Come due case collegate da una piazza che è insieme terrazza e fondazione.

E se la cultura è davvero ciò che ci modella, allora abitare è un atto culturale radicale: il primo gesto con cui trasformiamo lo spazio in luogo, e la distanza in relazione.

GO!2025, la cultura come capitale

In questo contesto, “cultura” non è solo un insieme di eventi o un’etichetta da celebrare con eventi e concerti, è un modo di vivere, di interpretare il mondo, di stare insieme agli altri.
Dicevo che la cultura è ciò che ci modella (e che modelliamo), resta invisibile ma condiziona tutto, dal linguaggio ai gesti, dalle abitudini alle paure.

Con il progetto GO2025! le due città decidono di diventare Capitale della Cultura senza fondersi, scegliendo di cooperare, stanno dicendo qualcosa di importante, che l’identità può restare tale soprattutto aprendosi. Con-vivere è possibile, il confine non è la fine di un discorso, ma il suo punto di partenza.

Cultura e cambiamento: lezioni da un confine

Il cambiamento culturale è spesso evocato come la sfida più grande.
Credo lo sia davvero proprio perché è invisibile all’occhio (distratto n.d.a.).
Agisce sottotraccia, cambiando i gesti prima ancora delle parole, interviene di fatto là dove vivono i comportamenti ripetuti, le abitudini ereditate, i silenzi collettivi.

È per questo che in questi tempi, di fronte a fenomeni come il bullismo, maschilismo tossico, o la fatica di costruire una vera cultura della diversità, equità e inclusione, parliamo spesso di “cambiamento culturale”.
Perché non è più sufficente una legge, un regolamento o una campagna. Serve modificare il modo in cui stiamo al mondo insieme. Serve abitare anche questi “confini invisibili”: tra chi è incluso e chi resta ai margini, tra chi parla e chi tace, tra chi impone e chi subisce.

E se pensiamo alla nostra società che è ancora attraversata da disuguaglianze, stereotipi, paure dell’altro, ecco che quelle stesse logiche si ripresentano: spesso reagiamo alle differenze con difesa, negazione o controllo, ma ciò che serve è un vero e autentico cambiamento di sguardo: riconoscere nell’altro la possibilità di ridefinire sé stessi.

Gorizia e Nova Gorica ci dicono che si può coesistere senza coincidere, che si può creare una visione comune senza rinunciare alla propria voce. La cultura è il modo in cui abitiamo la realtà, gli altri, le storie ed è proprio lì che può iniziare il cambiamento più profondo: quello che smette di replicare il mondo com’è, e inizia a immaginare il mondo come potrebbe essere.

Quattro lezioni

Se davvero il cambiamento culturale è il più difficile ma anche il più profondo, allora dobbiamo imparare ad ascoltare quei luoghi che il cambiamento lo hanno attraversato per necessità, non per scelta.
I confini, per esempio. Specialmente quelli che sono passati da margine a zona viva, soglia abitata.

Ecco allora quattro “lezioni” che vi condivido da questa mia breve ricerca su un confine come quello tra Gorizia e Nova Gorica e dal progetto GO!2025.

  • Abitare le differenze, senza per forza gestirle
    Siamo portati a dividere il mondo in categorie nette: giusto/sbagliato, dentro/fuori, un confine davvero abitato insegna però che la complessità è fertile, se ci viviamo dentro con rispetto.
  • Dimenticare l’uguaglianza come uniformità
    L’inclusione non è assimilazione. Nova Gorica e Gorizia sono rimaste due, eppure costruiscono insieme. Anche nella società, includere è valorizzare l’alterità, non azzerarla.
  • Coltivare la memoria come forma di cura
    Le ferite sociali – discriminazioni, silenzi, abusi – non si superano dimenticandole. A mio avviso vanno raccontate, riconosciute, condivise. La memoria è uno strumento potentissimo per superarle insieme, e senza storia non c’è memoria (e viceversa).
  • Restare nella tensione creativa
    Il cambiamento vero non è comfort, ma confronto. È coabitare senza fondersi, significa accettare l’imperfezione come condizione creativa. È dentro questa tensione che può nascere qualcosa di nuovo.

Qualche approfondimento su Gorizia, Nova Gorica e GO!2025

foto: Simonetta Di Zannutto on Flickr

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Massimo Benedetti
Massimo Benedetti
Dicono che so mettere a proprio agio le persone. Ascolto e leggo molto, scrivo e sono innamorato. Humanist è il mio spazio preferito.